L’infarto miocardico è causato da una occlusione improvvisa di una arteria coronaria, che blocca la circolazione del sangue in parte del muscolo cardiaco.
La definitiva morte delle cellule cardiache colpite dall’ischemia si consuma nel giro di poche ore, con la perdita delle loro capacità “muscolari” e trasformazione in una “cicatrice”.
Una complicanza ancora più temibile, che può manifestarsi in qualsiasi momento dopo l’esordio dell’infarto, è l’arresto dell’attività elettrica cardiaca che porta alla morte immediata il paziente, cosa di cui si legge quotidianamente nelle cronache dei giornali.
Naturalmente, come ci avrebbe sicuramente detto il Sig Lapalisse, evitare un infarto miocardico è molto meglio che averlo. La cosa interessante è che questo è veramente possibile, in larghi strati della popolazione, con le “semplici” misure della prevenzione: non fumando, attuando un’alimentazione idonea e mantenendo una vita fisicamente attiva.
Maggiore il profilo di rischio basale, a causa della presenza dell’ipertensione arteriosa e/o del diabete e/o del colesterolo elevati, maggiore sarà l’utilità della prevenzione, associandola se necessario anche al controllo farmacologico di questi cosiddetti “fattori di rischio”.
Non c’è alcun dubbio che quando la popolazione di un Paese prende coscienza riducendo il consumo delle sigarette e modificando gli stili di vita, l’incidenza dell’infarto miocardico cala significativamente ed in tempi brevissimi.
Purtroppo a tutt’oggi, e fino a quando le misure di prevenzione non faranno diffusamente parte della nostra cultura, le malattie cardiovascolari continuano ad essere la prima causa di morte nel mondo occidentale, con l’infarto miocardico che continua a mietere il maggior numero di vittime.
Per gestire al meglio questi pazienti, negli anni 60 sono nate le prime Unità di terapia intensiva cardiologica con immediato impatto favorevole sulla sopravvivenza, grazie alla possibilità di poter affrontare efficacemente le complicanze “elettriche”, altrimenti fatali.
Negli anni successivi, un intenso lavoro di ricerca ha permesso di scoprire e applicare nuove terapie farmacologiche ed interventistiche estremamente efficaci, che permettono di riaprire la arteria coronaria acutamente occlusa e ridurre il danno al muscolo cardiaco.
Questo si è accompagnato ad un ulteriore miglioramento della sopravvivenza sia immediata che e a distanza.L’esito del trattamento sarà tanto più efficace quanto più precocemente sarà iniziato, ma il tempo a disposizione è poco. Il massimo beneficio dal trattamento si può ottenere entro la prima-seconda ora dall’esordio dei sintomi e in questo lasso temporale, l’apertura della coronaria interessata può addirittura far evitare l’infarto o comunque limitarne moltissimo le conseguenze.
Purtroppo, la morte da causa elettrica può essere immediata o comunque avvenire nelle primissime fasi dell’infarto, prima ancora di raggiungere l’ospedale.
Attualmente, più della metà dei decessi complessivi avviene al di fuori dell’ospedale e la maggior parte di essi potrebbero essere evitati se il personale sanitario addestrato fosse già sul posto o se il paziente fosse già in ospedale.
Il modo più rapido per entrare in contatto con il personale addestrato e per raggiungere l’ospedale, è quello di rivolgersi al Sistema 118 che generalmente raggiunge il luogo dell’evento in pochi minuti.
I dati della esperienza milanese relativi ad un periodo di 3 anni, riportano che su circa 500 pazienti soccorsi dal 118 per un infarto miocardico, 32 hanno avuto l’arresto cardiaco dopo l’arrivo dell’ambulanza e sono stati tutti salvati, mentre altrimenti non avrebbero mai raggiunto l’ospedale vivi.
Le persone che hanno superato i 35-40 anni di età ed accusano un dolore toracico improvviso, in un area che va dall’ombelico alla punta del naso e si protrae per più di 5-10 minuti, devono semplicemente comporre il numero telefonico 118.
Lo stesso va fatto, immediatamente, da parte di eventuali testimoni vicini ad una persona che ha perso improvvisamente la conoscenza.
Il personale della Centrale 118 che riceve la telefonata, con poche domande sarà in grado di valutare come comportarsi di conseguenza. In alcune aree del Paese, le ambulanze del 118 sono già attrezzate per poter eseguire un elettrocardiogramma (indispensabile per la diagnosi) a casa del paziente e, se necessario, teletrasmetterlo all’Ospedale di riferimento.
In questo la modo, la diagnosi d’infarto può essere fatta a casa del paziente ed alcune cure possono essere iniziate ancora prima di partire per l’ospedale, con formidabile risparmio del tempo. Inoltre, a questo punto il 118 può trasportare il paziente all’ospedale più idoneo, che non è necessariamente quello più vicino.
I pazienti colpiti dall’infarto possono trarre maggiori benefici dall’immediata esecuzione di una coronarografia ed eventuale angioplastica coronarica o, in caso di impossibilità di questo provvedimento, ricevere un trattamento farmacologico.
Il trattamento farmacologico è possibile anche in fase preospedaliera e in tutte le Unità di terapia intensiva cardiologica, diffuse capillarmente sul territorio. Al contrario, la possibilità di sottoporre i pazienti ad una coronarografia immediata sulla base di 24/24 ore, richiede strumentazioni adeguate e personale altamente addestrato, il che rende impossibile la diffusione di questi Centri.
Disporre del personale medico e paramedico costantemente in addestramento è fondamentale per la buona riuscita di questi interventi e si può ottenere e mantenere soltanto attraverso l’esecuzione continua di un elevato numero di queste procedure.
Questo impone una attenta programmazione ospedaliera regionale, per evitare sia un numero inadeguato ma anche eccessivo dei centri, rispetto alle esigenze reali.
Quindi, oggi è possibile cambiare radicalmente il vecchio processo di diagnosi e della successiva terapia dell’infarto miocardico acuto, anticipando la diagnosi anche a casa del paziente, mettendolo “in sicurezza” e trasferendolo in ospedale più idoneo.
Tutto questo può essere fatto soltanto se la persona che avverte un dolore toracico improvviso e persistente si attiva rapidamente e si rivolge al 118.
Nella nostra Regione soltanto il 30% delle persone ricoverate per un infarto si rivolge al 118. La maggioranza raggiunge l’ospedale con mezzi propri, spesso dopo aver atteso “per vedere come va” o dopo aver cercato di contattare il proprio medico curante, in ogni caso perdendo tempo prezioso.
Purtroppo, durante questa inutile attesa un numero considerevole dei pazienti andrà incontro ad arresto cardiaco e non raggiungerà mai l’ospedale, mentre quelli che ci arrivano avranno minori probabilità di limitare i danni dell’infarto.