L’artrosi colpisce oltre 4 milioni di italiani (non soltanto anziani, anche ultra 40enni) e si ricorre sempre più spesso alla chirurgia ortopedica mini invasiva per impiantare protesi anca e ginocchio.
Nel nostro Paese, l’artrosi all’anca, al ginocchio ed alle mani colpisce il 15% degli adulti ed oltre il 30% degli anziani: i pazienti hanno un’età compresa tra i 50 e gli 80 anni, ma non sono rari i casi di adolescenti affetti da artrite giovanile che necessitino di una protesi con tecnica mini invasiva.
L’artrosi è considerata la malattia del XXI secolo: con l’aumento dell’età media della popolazione si assiste ad un conseguente incremento di casi di artrosi. Sono le anche e le ginocchia le articolazioni più colpite.
Tra protesi dell’anca e del ginocchio, statisticamente si parla di 170 mila impianti eseguiti ogni anno ovvero di persone che decidono di sottoporsi all’intervento chirurgico ortopedico mini invasivo: i soggetti bisognosi di una protesi che, per paura o diffidenza, non si sottopongono all’intervento sono almeno la metà di coloro che, invece, decidono di farlo.
Il 7 febbraio è stato registrato un primato: il dott. Michele Massaro, specializzato in chirurgia ortopedica mini invasiva, ha eseguito per la prima volta in Italia un intervento per impiantare con una sola operazione ben 3 protesi anca e ginocchio. Ve ne parleremo più avanti.
Chirurgia ortopedica mini invasiva: un po’ di storia
La chirurgia ortopedica mini invasiva ha mosso i suoi primi passi con la protesi dell’anca: negli anni Sessanta fu il chirurgo britannico Sir John Charnley ad impiantare la prima protesi all’anca nel mondo. Charnley è riconosciuto come il pioniere e fondatore del moderno intervento di sostituzione dell’anca che, con la sua tecnica, ha contribuito a ridurre notevolmente il tasso di infezioni post-operatorie.
Costruì le sue protesi in polietilene ad alto peso molecolare (HMWP), materiale che assicurava un coefficiente d’attrito minimo allo scopo di ridurre più possibile il logoramento: usò il cemento acrilico in alternativa alle viti come elemento di raccordo della protesi per una migliore distribuzione del peso su tutta la superficie del corpo. Per assicurare il massimo della stabilità, ridusse di un pollice il diametro della testa femorale e il ricettacolo dell’anca: in tal modo, prese il via la storia dell’artroplastica.
Con il suo libro sul trattamento conservativo delle fratture pubblicato nel 1950 John Charnley influenzò intere generazioni di chirurghi ortopedici.
Da allora, la chirurgia protesica ha fatto molta strada. Dopo pochi anni dal primo intervento mini invasivo, si passò alla protesi del ginocchio, poi della spalla, gomito, caviglia, colonna vertebrale ed altre articolazioni.
Chirurgia tradizionale e mini invasiva: la differenza più importante
Rispetto a quella tradizionale la chirurgia ortopedica mini invasiva si pone come principale obiettivo il rispetto del corpo ‘salvando’ il più possibile la parte sana e non compromessa dall’artrosi di anca e ginocchio (tessuti molli e muscolari, massa ossea). La protesi mini invasiva è più piccola di quella tradizionale.
In particolare, preserva (se possibile) i legamenti crociati del ginocchio (essenziali per il movimento articolare) e mantiene buona parte del collo femorale dell’anca allo scopo di ridurre i rischi di lussazione consentendo una guarigione più rapida.
Con la protesi monocompartimentale (o parziale) il chirurgo interviene soltanto su uno o due dei tre compartimenti del ginocchio al fine di mantenere ciò che è sano.
I pazienti, dopo l’intervento, ‘sentono’ questa protesi più naturale rispetto a quella totale, più vicina alla biomeccanica naturale del ginocchio sano.
Protesi bicompartimentale del ginocchio: in cosa consiste
La chirurgia ortopedica mini invasiva si è arricchita di un tipo d’impianto innovativo chiamato protesi bicompartimentale del ginocchio. Questo tipo di intervento offre il vantaggio di sostituire solo alcune aree del ginocchio, quelle cioè coinvolte e danneggiate dall’artrosi, salvando le aree sane.
In Italia, il più recente primato in questo senso spetta al dott. Michele Massaro che, il 7 febbraio scorso, ha eseguito presso le Cliniche Humanitas di Bergamo un intervento eccezionale, il primo del genere in Italia: l’innesto simultaneo di 3 protesi al ginocchio sinistro e anca destra con tecnica chirurgica mini invasiva eseguendo una sola operazione durata 2 ore (il tempo necessario, solitamente, per impiantare un’unica protesi con tecnica tradizionale).
In sostanza, il dott. Massaro ha impiantato ad una paziente 63enne romana una protesi dell’anca e due protesi del ginocchio monocompartimentale (ovvero bicompartimentale, una mediale e l’altra femoro-rotulea). L’intervento è perfettamente riuscito.
In riferimento alla protesi anca, la tecnica mini invasiva – come ha spiegato il dott. Michele Massaro – “evita di dover scollare e tagliare i muscoli che si inseriscono sul femore”.
Il dott. Massaro sfrutta la tecnica innovativa chiamata “femur first” e gli abbiamo chiesto di che si tratta: “Questa tecnica prevede di preparare prima il femore rispetto al cotile (la coppa) in modo tale da ottenere dei punti di riferimento più precisi per l’impianto finale”.
I punti di forza della chirurgia ortopedica mini invasiva
Negli ultimi anni, la chirurgia ortopedica mini invasiva ha raggiunto diversi traguardi con successo distinguendosi sempre più da quella tradizionale.
Quali sono i vantaggi che caratterizzano la protesi anca e ginocchio?
- E’ efficace, più sicura della protesi tradizionale;
- L’intervento, oltre ad essere più rapido (un’ora al massimo) è meno doloroso e traumatico, con gonfiore ridotto;
- Essendo mini invasivo, l’intervento riduce l’incisione dei tessuti, con conseguente minore perdita di sangue durante e dopo l’operazione;
- I rischi di lussazione sono ridotti al minimo;
- I tempi di recupero, dopo l’intervento, sono più rapidi;
- I costi sociali sono minori;
- La durata media della protesi è di 20-25 anni.
Dopo l’operazione, il paziente potrà sbarazzarsi delle stampelle nell’arco di 7-20 giorni e, sottoponendosi ad un’adeguata fisioterapia di riabilitazione, riprenderà le normali attività quotidiane dopo 2-4 settimane.